
Come ti dicevo in questa pagina, dedicata ai quattro pilastri del successo dell’artista, per avere successo nell’era post-moderna ci vogliono innanzitutto idee chiare, innovative, originali, coinvolgenti, convincenti, accattivanti: ricerca di una nuova narrazione, di un nuovo stile, di nuovi repertori, contaminazioni di stili e repertori, nuove nicchie di repertorio tradizionale ancora inesplorate, nuove forme di performance, la ricerca di pubblico nuovo…
Scovare strade poco battute
Anche se si dedica al repertorio tradizionale, l’artista post-moderno deve saperlo esplorare in modo nuovo, con metodo nuovo, con mezzi nuovi, con fantasia e creatività, scovando strade poco battute, trovando un proprio stile, una propria “cifra interpretativa” nuova e originale, trasmettendo emozioni nuove e forti, cercando un pubblico nuovo, da catturare e affascinare dando un senso nuovo anche al materiale tradizionale.
L’IDEA: questo è il primo talento dell’artista post-moderno!
Te ne parlo più approfonditamente in questo mio video, che ho messo a tua disposizione come risorsa gratuita.
Una delle caratteristiche dell’artista post-moderno è che egli può avere successo anche non rivolgendosi a un pubblico “generalista”, bensì rivolgendosi a un pubblico “di nicchia”, ossia a una cerchia ristretta di appassionati.
Questa caratteristica spiega bene il successo perdurante di artisti “di nicchia”, come gli artisti di avanguardia, o come i musicisti “classici”.
In questo articolo ci occuperemo di una delle sfide che considero più importanti per l’artista post-moderno: scovare strade poco battute.
Due esempi pianistici: Rameau e Schubert
Voglio farti subito qualche esempio di cosa intendo per “strade poco battute”, partendo da un campo che conosco molto bene: quello del repertorio del pianoforte “classico”. Un repertorio sterminato, come si sa, che abbraccia ormai più di trecento anni di storia, e all’interno del quale è sempre possibile ripescare e riportare alla luce brani o generi su cui il tempo sembrava aver irrimediabilmente steso la sua patina.
Il repertorio è colmo di vere e proprie “chicche”, riscoperte o riportate in auge da grandi interpreti.
Si pensi alle straordinarie interpretazioni del grande pianista russo Grigorij Sokolov dei pressoché dimenticati brani clavicembalistici di Rameau.
Si pensi, ancora, a una pagina dell’intimo e delicato Franz Schubert forse tra le meno note, ma di sicuro tra le più gravide di conseguenze nella successiva produzione romantica: le 12 Danze tedesche (Ländler) D. 790, che voglio proporti in questa intensa interpretazione tratta da un live recital del giovane pianista francese Bertrand Chamayou.
Come puoi notare, nella sua interpretazione Chamayou non evidenzia affatto il carattere “rude” e pesante della danza tedesca. Tutto al contrario, preferisce (fin dal titolo e dall’ambientazione del recital) far concentrare l’attenzione dell’ascoltatore sul carattere intimo e profondo dello stile schubertiano.
Il compito dell’artista contemporaneo è dunque quello di riportare alla luce queste e altre “chicche” di cui il repertorio è disseminato, facendole rivivere di un senso nuovo, che le renda capaci di toccare le corde dell’animo dell’ascoltatore di oggi.
La trascrizione per pianoforte
In questo articolo vorrei concentrarmi, in particolare, su uno dei tanti filoni della letteratura pianistica che negli ultimi anni è stato oggetto di una vera e propria riscoperta: quello della trascrizione per pianoforte di brani concepiti per altri strumenti, per ensemble, per orchestra, o addirittura di brani operistici.
Compositori di tutte le epoche, per le più svariate ragioni (pratiche, didattiche, divulgative, commerciali, artistiche, …), hanno trascritto ripetutamente sia le proprie composizioni, sia quelle dei loro predecessori e contemporanei.
La pratica della trascrizione raggiunse proporzioni epidemiche nell’Ottocento, quando la fortuna del genere trascrizione, unita alla fortuna dello strumento pianoforte (lo strumento prediletto sia dall’aristocrazia sia dalla borghesia emergente per l’educazione musicale dei fanciulli), fece sì che praticamente ogni lavoro di successo venisse trascritto per pianoforte: a due mani, a quattro mani, per due pianoforti, per complessi da camera col pianoforte.
Quali furono le ragioni di tale fortuna?
Per usare una fortunata immagine di Charles Rosen (contenuta nel suo Piano Notes. Il pianista e il suo mondo), la trascrizione pianistica – come una foto in bianco e nero – riusciva a rappresentare in maniera soddisfacente l’originale, poiché era in grado di riprodurre quelli che allora erano considerati gli aspetti fondamentali della musica: le linee melodiche, le armonie, il ritmo. Venne pertanto utilizzata a piene mani per portare nei palazzi dell’aristocrazia e nelle case della ricca borghesia tutto il repertorio di successo dell’epoca, e in primis quello orchestrale e operistico.
La trascrizione ebbe dunque nell’Ottocento lo stesso ruolo che nel Novecento ebbero il grammofono, il disco, la radio, la televisione: fu un potente strumento di divulgazione della musica, in particolare quella orchestrale e operistica.
Ne parla approfonditamente Nina Gallo in questo libro, assolutamente unico nel suo genere, che ti consiglio di leggere.
La trascrizione per pianoforte: storia e fortuna
In esso viene tratteggiata, con dovizia di esempi, una storia della trascrizione per pianoforte esauriente e completa, dalle origini al Novecento, con particolare attenzione al cosiddetto “periodo aureo”, che abbraccia circa un secolo, e che si può simbolicamente racchiudere tra il 1833 (anno della stesura della trascrizione di Liszt della Sinfonia fantastica di Berlioz) e il 1921 (anno della composizione dei Tre movimenti dal Petrushka di Stravinskij). L’evoluzione e la fortuna del genere trascrizione costituiscono la testimonianza più viva e diretta dell’evoluzione e della fortuna dello stesso pianoforte.
Il saggio di Nina Gallo dimostra come lo sterminato repertorio di trascrizioni pianistiche – a partire da quelle dei due “giganti” della trascrizione, Liszt e Busoni, e continuando con compositori del calibro di Schumann, Thalberg, Brahms, Tausig, Godovskij, Rachmaninov, Prokofiev, Stravinskij – costituisca una vera e propria miniera di idee per il compositore e l’interprete.
Due “chicche” lisztiane
Qui di seguito ti propongo due “chicche” lisztiane.
La prima è la straordinaria Elegia Die Zelle in Nonnenwerth, S534iii.
Die Zelle in Nonnenwerth (Il chiostro a Nonnenwerth) fu una vera e propria ossessione per Liszt. A partire dal 1841, e continuando fino agli ultimi anni della sua vita (1880), ne contiamo più di dieci versioni: tre versioni per canto e pianoforte su di un poema di Lichnowsky, un’Elegia con un testo diverso sulla stessa musica, quattro versioni per pianoforte solo (la seconda ha un testo alternativo che in sostanza ne costituisce una quinta versione), una versione per duo pianistico, e versioni per violino o violoncello e pianoforte.
L’Elegia S534iii, per pianoforte solo, datata 1880, è l’ultima delle versioni lisztiane. La semplice melodia del Lied originale si è trasfigurata, nella trascrizione pianistica, in una mesta e nostalgica reminiscenza, colma di rimpianto, di un tempo felice ormai finito per sempre: le vacanze estive che, a cavallo tra il 1841 e il 1843, Liszt e l’amata Contessa Marie d’Agoult trascorsero nell’isola di Nonnenwerth.
Nostalgia, rimpianto, giovinezza sfiorita, felicità perduta… Ce n’è abbastanza per muovere gli affetti dell’ascoltatore odierno. Un’adeguata presentazione del brano (che non dovrà mai mancare) potrà aiutare il pubblico a entrare nella giusta disposizione d’animo.
Una seconda “chicca” che voglio proporti è il Miserere du Trovatore S433, parafrasi da concerto sull’omonima scena della celeberrima opera verdiana, nell’interpretazione che ho inciso io stesso su CD Phoenix Classics.
Straordinario fin dal titolo, che racchiude in sé tre lingue (latino, francese, italiano), questo piccolo miracolo di strumentazione pianistica, arte costruttiva e sintesi drammaturgica è forse una delle parafrasi meno esplorate della vasta produzione lisztiana. Eppure, una sua attenta analisi permette di restituire al brano un posto di rilievo, non solo nella storia del genere, ma nella letteratura dello strumento tout court.
Il brano lisztiano è investigato a fondo in un fondamentale saggio, sempre di Nina Gallo, pubblicato sul n. 53/2018 della Rivista italiana di Musicologia:
Il teatro per tastiera di Liszt. Ars construendi e drammaturgia nel Miserere du Trovatore



Nella sua approfondita analisi, Nina Gallo propone tre distinti livelli di lettura della parafrasi lisztiana.
Nel primo livello viene analizzata la strumentazione pianistica di Liszt in rapporto alla scrittura originale di Verdi: per ricreare sul pianoforte la «pittura di tenebra» verdiana – resa in teatro attraverso il gioco complessivo di suono, canto, luce, scena – Liszt realizza un’intensificazione espressiva che coinvolge tutte le componenti del discorso musicale (altezza, intensità, timbro, durata, ritmo, armonia, struttura fraseologica e drammaturgica), accentuando l’enfasi sul contrasto fra sogno d’amore e presagio di morte, Eros e Thanatos.
Nel secondo livello viene scandagliata l’ars construendi che si cela dietro il mero dato testuale. La costruzione non lascia nulla al caso, ma è perfettamente studiata in ogni dettaglio: nel numero delle battute, nella simmetria della forma, nell’utilizzo sistematico della proporzione aurea. Affiora la volontà di Liszt di riplasmare interamente il brano di Verdi, fondandolo su di un canone estetico nuovo e diverso.
Infine, nel terzo e più elevato livello viene rilevata la grandiosa capacità di sintesi critica dell’intera opera, che emerge da tutta la serie di allusioni e rimandi – dai più espliciti ai più sottili e nascosti – di cui è costellata la partitura lisztiana. In particolare, il semitono cromatico discendente d’esordio, che costituisce la cellula generatrice dell’intera composizione – conferendole unità strutturale e drammaturgica – crea un vero e proprio ‘ponte’ ideale con tutto il resto del dramma di Verdi, rievocando come degli spettri i principali protagonisti dell’opera (Azucena, Manrico, Leonora).
Il saggio, che ti consiglio di leggere, permette di restituire alla parafrasi lisztiana un posto di rilievo, non solo nella storia del genere, ma nella letteratura dello strumento tout court.
Inoltre, permette di comprendere la capitale importanza del lavoro di analisi storica, compositiva e drammaturgica nella costruzione di una propria personale interpretazione di un brano.
Per concludere
Ti ho proposto solo alcuni degli innumerevoli esempi di cosa io intenda per “scovare strade poco battute” all’interno di un repertorio storico.
Qualunque sia il tuo campo artistico, fanne tesoro!
Trovare nuove nicchie di repertorio tradizionale ancora inesplorate, analizzarle approfonditamente e farle proprie per farle rivivere di un senso nuovo, che le renda capaci di toccare le corde dell’animo dell’ascoltatore di oggi, è una delle prime e più importanti qualità che l’artista interprete contemporaneo deve possedere per aspirare al successo!
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