Il saggio di Nina Gallo, pubblicato sul n. 53/2018 della Rivista Italiana di Musicologia, analizza a fondo il Miserere du Trovatore S433, parafrasi da concerto di Franz Liszt sull'omonima scena della celeberrima opera verdiana,
Straordinario fin dal titolo, che racchiude in sé tre lingue (latino, francese, italiano), questo piccolo miracolo di strumentazione pianistica, arte costruttiva e sintesi drammaturgica è forse una delle parafrasi meno esplorate della vasta produzione lisztiana.
Nel saggio sono proposti tre distinti livelli di lettura della composizione.
Nel primo livello viene analizzata la strumentazione pianistica di Liszt in rapporto alla scrittura originale di Verdi: per ricreare sul pianoforte la «pittura di tenebra» verdiana – resa in teatro attraverso il gioco complessivo di suono, canto, luce, scena – Liszt realizza un’intensificazione espressiva che coinvolge tutte le componenti del discorso musicale (altezza, intensità, timbro, durata, ritmo, armonia, struttura fraseologica e drammaturgica), accentuando l’enfasi sul contrasto fra sogno d’amore e presagio di morte, Eros e Thanatos.
Nel secondo livello viene scandagliata l’ars construendi che si cela dietro il mero dato testuale. La costruzione non lascia nulla al caso, ma è perfettamente studiata in ogni dettaglio: nel numero delle battute, nella simmetria della forma, nell’utilizzo sistematico della proporzione aurea. Affiora la volontà di Liszt di riplasmare interamente il brano di Verdi, fondandolo su di un canone estetico nuovo e diverso.
Infine, nel terzo e più elevato livello viene rilevata la grandiosa capacità di sintesi critica dell’intera opera, che emerge da tutta la serie di allusioni e rimandi – dai più espliciti ai più sottili e nascosti – di cui è costellata la partitura lisztiana. In particolare, il semitono cromatico discendente d’esordio, che costituisce la cellula generatrice dell’intera composizione – conferendole unità strutturale e drammaturgica – crea un vero e proprio ‘ponte’ ideale con tutto il resto del dramma di Verdi, rievocando come degli spettri i principali protagonisti dell’opera (Azucena, Manrico, Leonora).
Il saggio permette di restituire alla parafrasi lisztiana un posto di rilievo, non solo nella storia del genere, ma nella letteratura dello strumento tout court. Permette inoltre all'interprete di comprendere la capitale importanza del lavoro di analisi storica, compositiva e drammaturgica nella costruzione di una propria personale interpretazione di un brano.